Ippogrifi e pietre filosofali, spiriti ed entità invisibili, analisi scientifiche e ricerche storiche: cosa hanno in comune Galileo Galilei, l’emblema della scienza moderna, e Harry Potter, il maghetto uscito dalla penna di J. K. Rowling?
Quale relazione lega la scienza alla magia? Seppur alcuni sostengono che leggere le avventure di Harry Potter o Frodo Baggins possa portare allo sviluppo di una mentalità irrazionale e antiscientifica, la redazione del Blog del Festival della Cultura tecnica ha provato a tratteggiare al contrario un percorso che porta a riconsiderare i rapporti fra le arti magiche e il metodo scientifico.
Al tempo di Galileo, la scienza moderna ancora non esisteva, né esisteva la professione di scienziato; il termine ‘scienziato’ cominciò ad essere utilizzato solo nel corso dell’Ottocento.
Galileo subì il giudizio della Chiesa, non quello dei suoi ‘colleghi’. Infatti, fu proprio Galileo – insieme a Bacone, Cartesio e agli altri grandi del Seicento – a creare l’idea di comunità scientifica e, soprattutto, a inventare una nuova figura, fino ad allora inesistente nella cultura europea: lo scienziato moderno. Da ciò consegue che a Galileo va il merito di aver posto le basi per la costruzione di quello che oggi noi chiamiamo, genericamente, ‘metodo scientifico’, indicando quei criteri e quei valori che devono essere rispettati se si vuol cercare di provare la verità di una teoria o di una affermazione.
La scienza è quindi un metodo che ha regole chiare, rigorose e soprattutto condivise da una comunità di pari, in cui l’accesso al sapere è aperto a tutti e non iniziatico e per pochi come accade a Hogwarts, nell’universo magico creato dalla scrittrice britannica J.K. Rowling.
Il metodo scientifico moderno nasce però in un contesto in cui inevitabilmente la commistione con la mentalità prescientifica e la magia è presente e radicata. Ne è un esempio il proliferare di studi riguardanti l’alchimia – in particolare la pietra filosofale – e le leggende di Atlantide. Emblemi che per decenni hanno incrociato il loro percorso con personalità del nascente mondo scientifico.
Magia e scienza sono state molto legate nella figura di Isaac Newton. Il padre della Teoria della gravitazione universale si dedicò anche alla ricerca alchemica e concepì una ricetta per ottenere la pietra filosofale. O meglio, per ottenere uno dei precursori di questo sfuggente oggetto alchemico, il misterioso mercurio filosofale. La formula di Newton è ermetica e allegorica: una parte di drago impetuoso, due colombe di diana e almeno sette aquile di mercurio.
Anche il filosofo tedesco Immanuel Kant ha compiuto indagini sugli spiriti, affrontate con sincero spirito scientifico ma con altrettanta apertura alla possibilità che tali fenomeni fossero possibili.
Scienza e magia nutrono le pagine del romanzo gotico Frankenstein della scrittrice britannica Mary Shelley, che ripropone in chiave letteraria molti temi propri della pseudoscienza, e della celeberrima Ballata del vecchio marinaio del poeta inglese Samuel Taylor Coleridge, che era attratto – come Kant – dall’esistenza di entità e spiriti invisibili.
Infine, lo stesso Galileo Galilei si dilettò a ipotizzare l’esistenza di sirene, centauri, ippogrifi e streghe negli enigmi, indovinelli e giochi di parole scritti per intrattenere gli amici.
Ma la ricerca del vero, per Galileo, era un’altra cosa. È stata questa consapevolezza che gli ha consentito di essere uno degli inventori della scienza moderna, definendone con precisione regole e metodo di ricerca. Gli oggetti della fantasia sono completamente diversi da quelli della scienza, dove è necessario occuparsi di ciò che realmente esiste.
Nonostante ciò – e Galileo lo sapeva bene – gli universi della scienza possono essere ancora più fantastici di quelli pensati dalla fantasia, anzi del tutto inimmaginabili per la mente umana, e proprio in questo consiste il suo fascino.
Ed ecco che comprendiamo il legame tra scienza e magia: gli scienziati non devono temere di confrontarsi con le ipotesi più ardite e apparentemente fantastiche. L’unico vincolo è quello di attenersi all’evidenza di fatti e di prove condivise da tutti. L’errore non consiste nell’affidarsi durante la ricerca anche all’uso dell’immaginazione, ma nell’insistere a sostenere la validità di teorie che si rivelano false.